Willie Peyote: nichilismo, amore, antifascismo e… pennuti!

Prima dell’attesissimo live barese dell’1 dicembre, abbiamo avuto il piacere di intervistare telefonicamente il giovane nichilista Sabaudo affetto da Sindrome di Toret, Willie Peyote! Sì è chiacchierato di nichilismo, amore, antifascismo e…pennuti! Per chi se la fosse persa, è andata più o meno così 👇🏻

D: Ciao Willie! Allora, partiamo dalle origini. Il tuo nome all’anagrafe è Guglielmo Bruno, ma tutti ti conosciamo come Willie Peyote, sei nato a Torino già con la musica nel sangue, poiché tuo padre è un musicista e tu lo hai sempre seguito in tour. C’è stato un momento in cui hai pensato “da grande voglio fare il mestiere di mio padre”?

R: Sì, avevo 16 o 17 anni e seguivo un live quando ho realizzato che mi piaceva fare delle cose che per gli altri sono noiose, i viaggi un pullman, ascoltare il soundcheck. A me tutto questo divertiva molto più di altre cose e questo mi ha fatto pensare che potesse essere la mia strada. Se ero mi divertivo a fare le cose “noiose” figuriamoci il resto.

D: Guardando il tuo profilo Instagram ho notato che tu non ti definisci un rapper ed effettivamente il tuo primo incontro con questo genere è avvenuto solo nel 2004, dopo aver “assaggiato” altri generi musicali, primo fra tutti il punk rock. Che cosa ti ha spinto, alla fine, verso il rap?

R: La sensazione che mi avrebbe la possibilità di comunicare qualcosa. Il rap lascia molto spazio alle parole e io ritenevo di avere delle cose da dire. Poi non abbiamo mai capito se fosse vero o no. L’intenzione era quella di dare più importanza alla parola che alla musica.

D: Arriviamo al tuo nome d’arte. Willie Peyote nasce dall’unione di più concetti. Willie è un comune diminutivo di Guglielmo, ma richiama anche il famoso coyote. E poi c’è il peyote, una pianta allucinogena sudamericana. Si può dire che tu abbia mixato l’innocenza di un cartone animato con qualcosa di molto trasgressivo, creando una contraddizione forte che si evince anche nei tuoi testi, caratterizzati allo stesso tempo da critica e ironia. Quale messaggio vuoi trasmettere con tali contrapposizioni?

R: Nasce tutto dallo studio della satira e dal tentativo di mettere in musica una critica satirica. Ho preso molto spunto anche dalla stand up comedy.

D: Effettivamente la stand up comedy è una caratteristica evidente nella tuo ultimo album, “Sindrome di Tôret”.

R: Sì, ho avuto la fortuna di conoscere il comico che più mi ispirava, Giorgio Montanini, e di inserire parte del suo spettacolo nel mio album uscito lo scorso ottobre. Ho inserito anche un po’ di Luis CK, anche se solo campionato, invece con Montanini c’è stata una vera e propria collaborazione ed è stato per me un onore, poiché lo considero il più grande esponente della stand up comedy.

D: Nel 2011 esce “Il manuale del giovane nichilista”. Permettimi di dire che questo nichilismo lo hai portato con te anche in “Educazione Sabauda”, uscito nel 2015, e nell’ultimo disco, “Sindrome di Tôret”.

R: Sicuramente, non posso farne a meno. L’ho un po’ edulcorato con il tempo, però c’è, purtroppo c’è.

D: Durante i live tu preferisci canzoni movimentate, buone per far casino, rispetto a quelle un po’ più romantiche. Ma se dovessi scegliere un brano che ogni volta ti fa emozionare più degli altri quale sarebbe?

R: La canzone a cui sono più affezionato e che in qualche modo mi tocca sempre è “Che bella giornata”, perché affronta un momento importante della mia vita, un momento di svolta che coincide con il mio licenziamento dal contratto a tempo indeterminato, avvenuto ormai 4 anni fa. E’ una canzone che mi tocca sempre perché mi ricorda che, tutto sommato, ogni tanto sono riuscito a credere in quello che faccio.

D: Anche il titolo del tuo ultimo album, “Sindrome di Tôret”, è un gioco di parole. C’è un evidente richiamo alla sindrome di Tourette e un tocco torinese.

R: Esatto, i toret sono le fontanelle con la faccia di toro tipiche di Torino.

D: Questo album, però, è un po’ diverso dagli altri, perché c’è più musica e, soprattutto, ci sono generi diversi che si incontrano anche grazie alla collaborazione di altri artisti. Un po’ un ritorno alle origini, con la musica che assume un ruolo più centrale.

R: Diciamo che adesso ho proprio una band, quindi non dobbiamo fare tutto io e Frank (Sativa). Ci sono dei musicisti davvero talentuosi che ci permettono di aprirci ad altri generi e a nuovi esperimenti. Con i musicisti bravi si può fare tutto. La musica è meglio farla con chi la sa suonare.

D: In alcune canzoni, tra cui “Porta Palazzo”, ci sono dei velati cenni alla politica. Ovviamente non ti chiederemo qual è la tua idea, ma, avendo assistito al tuo live al Giovinazzo Rock Festival, mi ricordo due cose: la prima è che hai dovuto tagliare i capelli, perché c’era una forte somiglianza con un ministro.

R: Sì, il buon Toninelli.

D: La seconda cosa è che in quei giorni c’era stato un breve dissing con Matteo Salvini, motivo per cui durante il live hai incitato la folla a saltare e divertirsi come protesta nei confronti dei suoi attacchi al “diverso” o allo straniero.

R: Credo che sia necessario prendere posizione. In un periodo in cui la comunicazione è molto violenta, secondo me il modo migliore per combattere non è mettere altra violenza sul tavolo, ma far capire che l’antifascismo e l’antinazismo sono una cosa bella, dimostrando che c’è qualcosa di positivo dall’altra parte, mentre la violenza rappresenta la parte sbagliata delle due squadre in campo. Non si combatte la violenza con la violenza. L’antifascismo e l’antinazismo vanno celebrati come una festa e nei concerti cerchiamo di fare questo.

D: Forse il modo migliore per sconfiggere la violenza è proprio la risata. E a proposito di live, tu sei in tour e, tra le tante date, sarai al Demodè di Modugno l’1 dicembre e a Milano il 17 gennaio. Io, però, in chiusura devo fare una confessione. non so se l’hai mai notato, ma sotto ogni tuo post su Instagram c’è una pazza che ti scrive “Ti amo”. Bene, quella pazza sono io.

R: Ah, sei tu! Volevo solo dirti che l’amore non esiste.

D: Ed è esattamente per questo che lo scrivo! Ultima domanda, un po’ particolare direi. Che rapporto hai con i pennuti?

R: Io ho proprio la fobia, sono gli unici animali con cui ho un pessimo rapporto. Puoi portarmi dei serpenti o dei leoni, ma se trovo una gallina vado nel panico!

D: Ma c’è stato qualche episodio particolare, magari quando eri piccolo, che ti ha creato questo disagio?

R: In realtà non lo so. Da piccolo vivevo in campagna, forse avrò avuto qualche incontro ravvicinato. Non te lo so dire, però è da sempre che ho questa fobia. I gabbiani, per esempio, sono cattivi, brutti cattivi. Anche i piccioni in realtà.

D: Allora ci auguriamo che non ci siano pennuti al Demodè!

R: Me lo auguro anche io!

Intervista a cura di Alice Rizzi e Martina Panunzio

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